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Giusto qualche bischerata: Firenze e i suoi modi di dire

 
Oggi vogliamo soffermare la nostra attenzione su alcune curiose espressioni toscane, precisamente fiorentine, usate di frequente e di cui spesso molti ignorano le origini.
              
La prima non può che essere un autentico marchio di fabbrica “Sei un Bischero!”

Bischero, oltre a indicare la spina girevole intorno alla quale si avvolgono le corde negli strumenti musicali, in Toscana è sinonimo di sciocco, stupido, boccalone e simili.

Ma perché proprio bischero? I Bischeri erano una ricca famiglia proprietaria di vari immobili, alcuni dei quali ubicati tra P.zza del Duomo e Via dell’Oriuolo. Quando Firenze decise di costruire la cattedrale di Santa Maria del Fiore, fu proposto alla famiglia dei Bischeri l’acquisto dei suoi immobili in prossimità del cantiere per demolirli e dare spazio all’area dove sarebbe sorto uno dei massimi capolavori dell’architettura fiorentina.

I Bischeri rifiutarono l’offerta di acquisto avanzata dalle autorità cittadine con la chiara speranza di farne salire il valore. Seguì quindi un’estenuante trattativa, condotta per anni in modo testardo e ben poco lungimirante. Dopo aver atteso del tempo e fatto buon viso a cattiva sorte il Comune di Firenze prese una decisione d’imperio ed espropriò il terreno senza pagarlo nemmeno un fiorino. Pubblica utilità!  E i padroni ci fecero, appunto, la figura dei bischeri.

Si racconta che la famiglia, dopo la figuraccia rimediata, si allontanò da Firenze per poi ritornarvi dopo molto tempo. Il tempo aveva portato consiglio e anche un nuovo cognome adottato forse con la speranza di un futuro migliore. I Bischeri erano diventati Guadagni.
 
Quante volte abbiamo sentito dire o usato l’espressione “Sono alle porte con i sassi!”. Sta arrivando un appuntamento importante, dobbiamo prendere una decisione non rinviabile, ci scade una rata del mutuo ed ecco che in quel preciso momento saremo “alle porte con i sassi!”.

Siamo di nuovo a Firenze dove l’espressione “Essere alle porte co’ sassi” nasce in epoca medioevale, quando la città, cinta dalla terza cerchia muraria della sua storia, era accessibile solo negli orari stabiliti per l’apertura delle porte cittadine. Ancora oggi questi splendidi ingressi cittadini sono ben visibili nella loro austera maestosità: Porta al Prato, Porta San Gallo, e Porta alla Croce sopra l’ Arno; Porta San Frediano, Porta Romana, Porta di San Miniato e Porta di San Niccolò nella zona d’Oltrarno.

Le porte venivano chiuse all’una di notte, ed è nell’approssimarsi di quel momento che i pellegrini e gli agricoltori di ritorno dai campi alla vista dell’ingresso in città lanciavano sassi contro gli immensi portoni, per segnalare il loro imminente arrivo ed evitare che le guardie preposte li facessero trascorrere la notte all’addiaccio sprangandone i battenti.
 
Il linguaggio colorito nella tradizione fiorentina non è mai mancato e il proverbio “Il culo e le quarant’ore” ne è una conferma Ma come nasce quest’imperituro modo di dire?

La colorita espressione che ne deriva, “c’entra come il culo e le quarant’ore”, segnala  una cosa che non ha nulla a che vedere con un’altra ed è parente strettissima della forse più nota “ci sta come il cavolo a merenda”. Le origini del detto paiono perdersi nel tempo e rimandano alle funzioni religiose “Delle Quaranta Ore” che consistevano nell’esposizione del Santissimo Sacramento in ogni chiesa fiorentina, che si sviluppava per una durata complessiva di quaranta ore consecutive. 

Arrivando al punto, si narra che durante l’esposizione del Sacramento in una delle chiese più piccole della città, che potrebbe essere stata quella dei Santi Apostoli Pietro e Paolo nella piazzetta del Limbo, si verificò l’episodio all’ origine al celebre detto. Nel corso della solenne funzione una donna, sentendosi palpeggiare, perse le staffe e cominciò a prendere a schiaffi un malcapitato signore alle sue spalle. L’uomo, colto in flagrante, provò a giustificarsi dicendo che il gesto inopportuno era stato causato dalla calca dei fedeli presenti alla funzione religiosa delle “Quaranta ore”. Ma la donna non si fece abbindolare e rispose per le rime: “O cosa c’entra il culo con le quarant’ore?”. Chapeau! Una battuta entrata nella storia!
 
Concludiamo questa breve carrellata di espressioni tipiche fiorentine con “Troppa grazia Sant’Antonio!”

Non siamo né a Padova né a Lisbona, le città del notissimo omonimo, ma siamo nuovamente a Firenze che ha il suo Sant’Antonio, un uomo a cui si lega l’origine del famosissimo detto. Chi era Sant’Antonino da Firenze?  Antonio Pierozzi è stato un teologo, arcivescovo cattolico e letterato italiano. Appartenente all'ordine dei Frati Predicatori, fu arcivescovo di Firenze, studioso nei ranghi della tarda scolastica ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Come ci ricorda ancora oggi una effige in marmo sulla facciata abitava in una palazzina in via dello Studio, dove era solito ricevere i cittadini che gli si rivolgevano per chiedere aiuto spirituale, tanto da essere presto ribattezzato come “Antonino dei consigli”.

Si racconta che Dante Pitti e sua moglie Marietta, non riuscendo ad avere figli, ebbero a rivolgersi all’amatissimo vescovo. Passato poco tempo il “miracolo” si compì e nacque il primo figlio cui fu dato il nome Guido. Ma l’intercessione del vescovo si rivelò ben più potente di quanto la coppia potesse aspettarsi: nel giro di pochi anni la donna partorì ben sei figli!  Di fronte alla storia dei due coniugi “favoriti” dalla grazia del vescovo ma, nel contempo, sconcertati per questa prole così numerosa ed inaspettata,  il popolo fiorentino coniò il celebre motto giunto fino ai giorni nostri: “Troppa grazia, Sant’Antonio!”.


 

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